Che significa oggi essere un buon agricoltore

Breve storia dell’agricoltura

Il settore agricolo è uno dei settori strategici di qualsiasi comunità. Per gran parte della sua storia di 200.000 anni l’homo sapiens è stato raccoglitore.

Le prime forme di agricoltura risalgono a circa 11.000 anni fa, nell’area dell’attuale Medio Oriente.
L’Italia vanta una tradizione contadina d’eccellenza di lunghissima data, le prime tracce parrebbero risalire addirittura al 5000 a.C.

Le innumerevoli varietà di frutti e ortaggi create nei millenni dagli agricoltori della penisola, attraverso la selezione delle sementi e gli incroci, nonché l’evoluzione delle tecniche agronomiche, hanno reso il coltivare più facile e maggiormente produttivo, attraverso piante più resistenti alle malattie e diversificate a seconda del clima, aumentando le varietà e le qualità organolettica degli alimenti, nonché portato ad una migliore gestione del suolo e una migliore comprensione del funzionamento degli ecosistemi.

7000 anni di cultura agricola hanno permesso uno sviluppo incredibile dell’agricoltura nel Paese, al punto da portare l’Italia ad essere autosufficiente da un punto di vista alimentare nel rispetto degli ecosistemi sino ai primi decenni del ‘900. Per millenni l’agricoltura si è basata sull’osservazione, sulla ricerca e sulla sperimentazione, in un equilibrio dinamico in cui l’essere umano si è sempre sentito parte della natura e non suo dominus.

A partire dalla fine della seconda guerra mondiale si avvia una fase di transizione, che porta in pochi decenni alla notevole diminuzione dell’agricoltura familiare e di comunità e al prevalere dell’agricoltura meccanizzata.

Gli antichi saperi, la vera cultura contadina italiana, così come le antiche varietà, vanno via via sparendo e, a partire dal 1980, inizia il declino del comparto agricolo, con un’inesorabile e drastica riduzione dei campi coltivati: per comprendere meglio la dinamica, nel 1999 erano circa 20 milioni gli ettari coltivati, nel 2022 la superficie agricola utilizzata è arrivata a soli 12,5 milioni.

Il motivo di ciò è innegabilmente da ricercare nel cambiamento del sistema socio-economico: la maggioranza della popolazione, che produceva da sé il cibo per la sussistenza della propria famiglia e della propria piccola comunità locale, via via è divenuta prima serva dei proprietari terrieri, con la privatizzazione delle terre e poi ha cambiato per lo più mestiere con l’arrivo del settore secondario e terziario, rispettivamente industria e servizi.

Il proprietario terriero è divenuto imprenditore agricolo con i contadini relegati ad essere braccianti agricoli alle sue dipendenze. Ancora oggi molti braccianti agricoli vivono in condizioni disumane, senza alcun rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione, parliamo di un 25% di lavoro sommerso in ambito agricolo.

La Costituzione è stato un passo avanti ideale incredibile per l’Italia, soprattutto nel settore agricolo: i diritti del lavoro e la fine dei latifondi sanciti nella carta fondamentale dei diritti sono rimasti però purtroppo veri solo sulla carta appunto.
Ho voluto fare questo breve excursus storico per dare un inquadramento generale del settore agricolo, utile a comprendere le dinamiche socio-economiche che hanno portato all’agricoltura contemporanea.

Settore agricolo: il presente

La maggioranza degli imprenditori agricoli oggi opera in maniera completamente difforme rispetto alle buone pratiche agricole, frutto di millenni di osservazione, ricerca e sperimentazione.

L’imprenditore agricolo spesso non ha un’adeguata formazione, è divenuto un imprenditore come tanti altri, che ha come unico scopo il profitto e non il giusto guadagno, che affida la gestione dei propri terreni a sedicenti professionisti che hanno ricevuto per lo più nozioni riferibili esclusivamente ai metodi dell’agricoltura industriale, quindi la meccanizzazione spinta per ridurre il costo del lavoro, la monocoltura, l’uso di prodotti fitosanitari di sintesi, la distruzione degli ecosistemi per dare spazio alle colture estensive.

Tutto ciò ha portato ad una drastica riduzione della resa agricola, all’impoverimento e all’inquinamento dei suoli e delle riserve idriche, alla distruzione degli habitat naturali, all’aumento incontrollato dei prezzi.
A partire dagli anni ‘50 del XIX secolo però, contemporaneamente al processo di meccanizzazione del comparto, in tutto il mondo, grazie ad un’evoluzione rapidissima della ricerca scientifica anche in ambito agricolo, ha preso piede una visione completamente diversa di agricoltura, in parte ispirandosi ai saperi antichi e in parte attraverso innovazioni metodologiche in grado di dare risposte sistemiche alle problematiche che ogni agricoltore si trova ad affrontare nella quotidianità.

Negli ultimi decenni poi le generazioni più giovani, stufe di lavorare in quattro mura di cemento e con contratti precari, sottopagate e svilite, hanno deciso di tornare a coltivare la terra.

Siamo quindi, per fortuna, agli albori di una grande rivoluzione silente del settore dell’agricoltura, che viene per lo più taciuto dai mezzi d’informazione mainstream, ma evidente a chi si interessa seriamente all’argomento.

Il ritorno all’agricoltura è un percorso naturale sentito come necessario: lo stress della vita contemporanea nel modello socioeconomico dominante, l’urbanizzazione selvaggia che ha ridotto gli habitat naturali in cui come esseri umani siamo sempre vissuti, ha portato molti giovani a scegliere di tornare a contatto diretto con gli ecosistemi e ad apprendere come prodursi il cibo in maniera sana e sostenibile, partendo da basi divergenti rispetto all’agricoltura industriale inquinata e inquinante.

agricoltore bio

I pionieri dell’agricoltura naturale

Tra i pionieri che hanno contribuito in maniera determinante ad evolvere verso un nuovo rapporto tra l’essere umano, l’agricoltura e gli ecosistemi, credo sia doveroso citarne alcuni: Rudolf Steiner , l’eclettico padre dell’agricoltura biodinamica, Masanobu Fukuoka , microbiologo giapponese ideatore dell’agricoltura naturale, Emilia Hazelip , ideatrice dell’agricoltura sinergica, Bill Mollison e David Holmgren , i fondatori della permacultura, Ernst Götsch, l’ideatore dell’approccio sintropico in agricoltura, Fritjof Capra, fisico e teorico dei sistemi che da oltre 50 anni si impegna a divulgare l’ecologia profonda attraverso la visione sistemica della vita.

Agricoltura conservativa, blu, sinergica, sintropica, biologica, biodinamica, naturale, bio-intensiva: sono ormai numerose le tecniche agronomiche che consentono di avere un’alta resa produttiva tutelando gli ecosistemi.

L’approccio sistemico in agricoltura

Ma cosa significa fare agricoltura tutelando gli ecosistemi e quindi essere un buon agricoltore?

Bisogna innanzitutto cambiare radicalmente mentalità: passare dal riduzionismo meccanicista al pensiero sistemico. Il riduzionismo è la teoria biologica che tende a ridurre i fenomeni vitali e la formazione di ogni organismo a un unico sistema teorico considerato più fondamentale, nel meccanicismo si ritiene che tutto l’universo poteva essere descritto e spiegato mediante le sole azioni meccaniche tra i corpi materiali.

Se per gli elementi non viventi il meccanicismo può essere utilizzato per comprendere la realtà̀, tale approccio scientifico non ci dà alcuna capacità predittiva nell’analisi degli esseri viventi.

Solo un approccio sistemico ci consente di comprendere meglio il funzionamento dei sistemi viventi: secondo la visione sistemica ciò che va osservato per comprendere i sistemi viventi è la relazione tra gli organismi, piuttosto che le componenti fisiche di cui sono costituiti.

Da tale nuovo approccio scientifico sta emergendo una nuova coscienza, poiché́ alcune proprietà dei sistemi viventi esistono solo nell’insieme e non nei singoli organismi: la rete tra tutti gli esseri viventi è ciò che permette alla vita di esistere sul pianeta.

Senza tale consapevolezza non è possibile essere un buon agricoltore.

Proprio per questo voglio offrire ai lettori dei consigli di buone pratiche agricole che garantiscano la prosperità degli ecosistemi e rese agricole ottimali.

L’importanza del suolo e la non lavorazione

La maggior parte della biomassa del pianeta vive nel suolo: le piante pesano 450 Gt di carbonio, i batteri 70, gli archea 7, i funghi 12. Tutto il regno animale pesa solo 2 Gt di carbonio, rappresentando in peso solo 1/225 del regno vegetale, giusto per rendere l’idea delle proporzioni.

Il suolo è lo strato incoerente di minerali e di materia organica, ricco di acqua e aria, situato sopra la roccia madre, dello spessore che può variare da pochi centimetri a decine di metri. Si forma per le interazioni chimiche, fisiche e biologiche, che intercorrono tra biosfera, litosfera, idrosfera e atmosfera. Quindi prendersi cura del suolo è l’operazione fondamentale per garantire una buona resa agricola.

Per farlo in maniera ottimale si possono seguire i seguenti consigli:

  1. Non è necessario utilizzare ammendanti per arricchire il suolo: un suolo vivo è autofertile. Il complesso sistema di microrganismi (batteri, funghi, lieviti) e organismi pluricellulari (insetti, lombrichi, etc.) che popola il suolo permette una biodegradazione costante delle radici morte nel suolo e della biomassa organica in via di decomposizione presente sulla superficie, rendendo quindi biodisponibili gli elementi nutritivi di cui le piante hanno bisogno.
  2. Non bisogna lavorare il suolo: ogni volta che si effettua uno scasso attraverso un’aratura o una ripuntatura profonda si uccidono i microrganismi del terreno, poiché́ vengono messi a contatto diretto con l’atmosfera.
    L’humus già formatosi nel suolo subisce una combustione in reazione con l’aria, accelerando la trasformazione biochimica dall’organico al minerale. L’humus mineralizzato potrebbe essere rapidamente assorbito dalle radici, ma siccome non vi sono piante per via della lavorazione effettuata, tali elementi vengono lisciviati verso la falda freatica o vengono portati via per ruscellamento durante le piogge.
    Ciò comporta un enorme spreco di sostanze nutritive e una contaminazione da nitrati delle acque sotterranee. La distruzione del suolo è ciò che porta a dover compensare la perdita di fertilità erroneamente attribuita all’assorbimento degli elementi fertilizzanti da parte delle piante.
    Le piante vive sono costituite dal 75% da acqua, il 15% della loro biomassa è ricavato dalla fotosintesi clorofilliana attraverso l’assorbimento dei gas atmosferici, il 2,5% da minerali assorbiti dalle radici, il 2,5% di azoto, che può essere recuperato dall’atmosfera attraverso la consociazione con piante azotofissatrici come le leguminose.
    Altro vantaggio dell’assenza di lavorazioni profonde del suolo è la riduzione drastica delle energie necessarie per le operazioni colturali, quindi abbattimento dell’inquinamento atmosferico e notevole risparmio economico.
  3. Il substrato di coltivazione non va calpestato: uno dei motivi per cui si lavora il terreno è per migliorarne temporaneamente la struttura compatta, di modo da consentire alle radici di penetrare più facilmente nel suolo. Se però il suolo è sempre coperto da uno strato di pacciamatura vegetale, è ricco di piante vive e non viene calpestato, rimane morbido. Per verificare in prima persona la veridicità di tale affermazione, è sufficiente andare in un bosco e constatare la struttura del suolo ivi presente.
  4. Mantenere il suolo sempre coperto: si può fare con la pacciamatura, che è la realizzazione di uno strato di materiale vegetale, vivente e non vivente. Può essere distinta in secca, come ad esempio la paglia o qualsiasi altro materiale vegetale secco e verde, attraverso piante che ricoprono il terreno. La pacciamatura è fondamentale per proteggere il suolo dai raggi solari e dagli agenti atmosferici, nonché nutrire il terreno; nel caso della pacciamatura secca il nutrimento viene ceduto attraverso la decomposizione della materia organica non più viva, nel caso della pacciamatura verde ad esempio utilizzando piante azotofissatrici le quali, attraverso l’associazione simbiotica dei batteri azotofissatori con le radici, trasformano l’azoto atmosferico in azoto ammoniacale, assimilabile dalle piante.
schema importanza del terreno in agricoltura

La tutela della biodiversità

Non utilizzare prodotti fitosanitari.

Rispettare gli habitat e i climi.

Aumentare e tutelare la biodiversità è un altro aspetto cruciale per garantire la vitalità dei nostri ecosistemi: una delle proprietà dei sistemi viventi nel loro insieme è la tendenza ad aumentare la resilienza all’aumentare della complessità. D’altronde per comprendere tale concetto è sufficiente fare riferimento ai processi metabolici: più specie ci sono, più ampie sono le popolazioni di ogni specie, più cibo c’è, sia per gli organismi autotrofi che eterotrofi.

Per tutelare e aumentare la biodiversità è necessario:
1) Non utilizzare prodotti fitosanitari, né di sintesi, né organici: la maggioranza dei fitofarmaci non è selettiva, ma ad ampio spettro, pertanto oltre ad uccidere gli organismi considerati nocivi elimina anche quelli considerati utili.

In tale ambito è fondamentale adottare un approccio scientifico sistemico: la vita è una rete, pertanto ogni diminuzione o eliminazione totale di qualsiasi specie vegetale o animale può essere letale per l’intero ecosistema.

Se sussiste una sovrappopolazione di una specie nociva per la nostra coltivazione vuol dire che si è creato uno squilibrio ecosistemico: la vita sul pianeta si è evoluta in 3,5 miliardi di anni e ogni organismo si è adattato al contesto per lo più entrando in simbiosi con gli altri organismi. È un equilibrio dinamico che ancora dobbiamo comprendere appieno, ma che mira sempre a preservare il maggior numero di specie e individui.

Quando c’è una malattia o un attacco parassitario che rischia di compromettere seriamente il raccolto bisogna interrogarsi su quali siano le cause e non avvelenare tutto per togliersi l’ansia di perdere la produzione.

Cedendo alle paure e alle ansie e utilizzando i fitofarmaci per salvare a breve termine il raccolto, si distrugge a breve, medio e lungo termine la rete vitale del contesto in cui si opera, portando così ad un ulteriore indebolimento dell’ecosistema, che diviene così ancor più esposto a malattie e sovrappopolazioni nocive.

L’uso dei fitofarmaci, insieme all’adozione di impianti monocolturali, alla lavorazione profonda dei suoli, al lasciare il suolo nudo, genera una spirale distruttiva senza fine, che porta al degrado e infine alla desertificazione dei suoli. A livello globale l’ONU segnala che un quarto delle terre coltivate sono in condizioni di crescente degrado, con gravi rischi per la continuità della produzione agricola.

È necessario aprire gli occhi su come stiamo agendo e eliminare nel più breve tempo possibile le “cattive” abitudini agricole.

2) Rispettare gli habitat e i climi: per una tutela integrale della biodiversità è necessario essere attenti a non introdurre specie invasive o specie inidonee al clima in cui si opera. Diverse piante spontanee endemiche sono commestibili, ha senso tagliarle per mettere altre piante magari esotiche anch’esse commestibili, ma che potrebbero avere la necessità di molte cure per crescere vigorose?

Sarebbe saggio e opportuno anche adattarsi al contesto e non solo volerlo modificare a proprio piacimento, cercando un equilibrio dinamico armonico. L’essere umano non è il dominus della vita, ma solo una delle innumerevoli specie viventi esistenti, è necessario si senta parte della rete della vita per riuscire a preservarla. È opportuno quindi evitare di sfalciare ogni metro di terra e distruggere ogni forma di vita presente, se non lo stretto indispensabile per permetterci di coltivare ciò che desideriamo e che non è già presente nel luogo in cui siamo.

Così come è opportuno valorizzare le specie endemiche già presenti, sia commestibili che non commestibili da noi esseri umani. Tutte le piante sono importanti, così come tutti i funghi e batteri.

Ripeto, la vita si è evoluta in 3,5 miliardi di anni, ha creato equilibri dinamici altamente stabili e resilienti, intervenire in maniera dissennata può compromettere in maniera irreparabile la vitalità dell’ecosistema in cui si opera.

orto natura

Conclusioni

In ultimo, dulcis in fundo, voglio dare il consiglio più importante di tutti: osservare, osservare, osservare. La vita frenetica della società dei consumi ci ha portato ad avere ritmi innaturali, che ci conducono a indicibili sofferenze e a malattie psicofisiche di ogni sorta. Il momento dell’osservazione è un atto importantissimo per il nostro benessere psicofisico e per fare valutazioni sensate prima di mettersi all’opera. Quando si agisce in un contesto naturale è necessario entrare a ritmo con il contesto, proprio per non essere portatori di sofferenze e malattie anche all’ecosistema in cui si opera.

La natura è la cura migliore dallo stress: chi sceglie di vivere in un contesto naturale e praticare l’agricoltura deve però “disintossicarsi” da tutte le malsane abitudini per poter agire in maniera costruttiva e utile. La prima abitudine malsana da togliere è proprio quella di voler subito attivarsi, senza magari aver acquisito le esperienze e le competenze necessarie, senza aver prima osservato con attenzione il contesto, facendo quindi per lo più danni.

Bisogna essere umili se si vuole essere buoni agricoltori e più in generale se si vuole essere buoni esseri umani, utili alla comunità e a sé stessi.

La contemplazione e l’osservazione dell’ambiente in cui siamo ci consente di vivere meglio e di avere un’alta produttività agricola senza distruggere gli ecosistemi, ma addirittura implementarli e arricchirli.

La vera rigenerazione parte sempre da un lavoro interiore, che ci consente di trovare un rapporto dinamico armonico con il contesto in cui operiamo, che dà felicità a noi stessi e a tutta la comunità vivente che ci circonda.

Le attuali conoscenze e gli strumenti disponibili ci consentono di poter valutare con obiettività molti degli elementi che influenzano la buona riuscita della nostra pratica agricola, a partire dal clima: ma è solo cambiando noi stessi e quindi ciò a cui diamo valore, ciò che osserviamo profondamente, che possiamo comprendere come realizzare una produzione agricola altamente produttiva e allo stesso tempo sostenibile da un punto di vista ambientale e sociale.

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