Classificazione delle principali micorrize di interesse agrario

Le micorrize: un complesso universo di interazioni

Come già descritto nell’articolo introduttivo “Le micorrize: un potenziale alleato per orti e frutteti”, l’interazione a livello radicale tra pianta e funghi micorrizici determina una lunga serie di reciproci vantaggi, molti dei quali potenzialmente utili a fini agronomici.

Nello specifico, gli effetti benefici di questa simbiosi mutualistica pianta-fungo scaturiscono da un migliore assorbimento radicale di acqua e nutrienti minerali, una maggiore resistenza delle piante a stress di natura sia biotica (patogeni) che abiotica.

Il micelio fungino che dalla radice colonizza il terreno (micelio extra-radicale) estende enormemente l’apparato radicale determinando per la pianta una parte di questi benefici.

Questa interazione ha avuto un ruolo chiave nell’evoluzione delle specie vegetali e fungine terrestri, favorendo la colonizzazione di ambienti ostili alla crescita delle piante.

Il termine micorriza identifica e localizza nella pianta la struttura di interazione, raggruppando un enorme ed eterogeneo gruppo di simbiosi pianta-fungo.

La complessità di tale interazione è frutto del lunghissimo periodo di co-evoluzione tra piante e funghi, consentendo nel tempo la differenziazione di numerose varianti.

Infatti, secondo quanto riportato nell’articolo “FungalRoot: global online database of plant mycorrhizal associations” pubblicatonel 2020 dalla prestigiosa rivista scientifica New phytologist, delle 620 famiglie botaniche attualmente note solamente per 85 di queste non è stata ancora descritta alcuna interazione simbiotica con funghi micorrizici.

Infine, per marcare e dare un’idea circa la vastità delle specie vegetali coinvolte, sono state riscontrate interazioni con funghi micorrizici in tutte le gimnosperme, circa nell’83% delle dicotiledoni e nel 79% delle monocotiledoni.

Altrettanto vasto è il numero di specie fungine in grado di interagire per mezzo di micorrize con le piante; infatti, recenti ricerche scientifiche stimano in circa 50.000 le specie di funghi micorrizici.

La grande biodiversità degli organismi coinvolti rende possibile queste interazioni nella maggior parte degli ecosistemi agevolandone l’adattamento.

Classificazione delle micorrize

Alla luce di tali informazioni è chiaro come il termine micorriza sia in realtà troppo vago e necessiti di ulteriori indicazioni per identificare specifiche interazioni.

Nel tempo si sono succedute diverse classificazioni delle micorrize e ciascuna di queste utilizzava come carattere discriminante specifiche peculiarità delle stesse.

Oggi le micorrize vengono globalmente classificare tenendo conto dell’anatomia di questa interazione, in particolare, analizzando come il micelio fungino interagisce con la radice.

Secondo tale sistema le micorrize vengono distinte in due grosse categorie ENDOMICORRIZE ed ECTOMICORRIZE (figura 1).

Le ectomicorrize: un’interazione che caratterizza gli ecosistemi forestali.

Nelle ecotomicorrize le ife fungine che interagiscono con la pianta sono fondamentalmente localizzate sulla superficie radicale creando uno spesso strato di micelio che altera la morfologia dei peli radicali.

Le radici colonizzate da funghi ectomicorrizici assumono un aspetto che tecnicamente è detto coralloide in quanto somiglia molto al corallo (figura 2).  

Nella zona di passaggio tra il fungo e la radice si creano delle zone di intimo contatto che permettono i reciproci scambi che caratterizzano queste interazioni (figura 3).

Dalla superficie della struttura coralloide si diparte il micelio extra-radicale che colonizza il terreno circostante.

Le endomicorrize: potenziali alleati e come sono fatte

Nelle endomicorrize il micelio fungino non si stratifica estremamente ma alcune ife specializzate penetrano nell’apparato radicale raggiungendo la zona corticale.

Una volta all’interno della radice le ife prima colonizzano lo spazio intercellulare (tra le cellule) e successivamente penetrano all’interno delle cellule vegetali creando strutture specializzate per lo scambio di nutrienti con la pianta.

Le ife fungine, che colonizzano la cellula vegetale ed occupano buona parte del citoplasma, presentano una struttura articolata che permette un’estesa superficie di contatto tra i due organismi.

Questa intrusione fungina nella cellula vegetale (che resta viva) ha un aspetto generalmente molto ramificato e prende il nome di arbuscolo ed è identificativa di un gruppo di endomicorrize molto diffuse chiamate micorrize arbuscolari.

Molto frequentemente vengono descritti all’interno dei tessuti radicali ife modificate che assumono l’aspetto di piccoli palloncini chiamate vescicole attraverso le quali il fungo accumula sostanze di riserva (figura 4).

Contrariamente a quanto accade nelle ectomicorrize, in questo caso la radice non presenta una morfologia alterata e per diagnosticare l’avvenuta micorrizazione non basta la semplice osservazione al microscopio, bensì sono necessarie apposite procedure di colorazione dei tessuti vegetali che mettono in evidenza le strutture anatomiche che caratterizzano le micorrize arbuscolari.

Figura 1. L’immagine rappresenta le principali differenze tra le ectomicorrize a sinistra e le endomicorrize a destra. Nelle ectomicorrize il micelio avvolge la superficie radiale (mantello-mantle) alcune ife penetrano all’interno della radice costeggiano le cellule vegetali creando la struttura di scambio tra pianta fungo. Nelle endomicorrize manca totalmente il mantello e il fungo crea nelle cellule vegetali delle strutture deputate agli scambi chiamate arbuscoli (arbuscules).
Figura 2. Pianta di pino micorrizata, il cerchio giallo contrassegna un capillizio radicale dall’aspetto coralloide, particolare ingrandito nelle figure b e c.
Figura 3. Sezione trasversale di una radice colonizzata da un fungo ectomicorrizico. La lettera M indica il mantello fungino disposto sulla superficie del pelo radicale; HN indica le ife che dal mantello colonizzano gli spazi tra le cellule vegetali.
Figura 4. In foto una micorriza arbuscolare, in particolare la linea rossa indica la superficie radicale (S), la lettera Z indica il micelio fungino disposto sulla superficie radicale, mentre la lettera I il micelio fungino che colonizza il tessuto corticale (R). Il micelio nella radice differenzia gli arbuscoli (A) e le vescicole (V) le due strutture tipiche delle micorrize arbuscolari. La lettera X indica fascio di vasi linfatici della pianta.

Ulteriori dettagli sulla classificazione delle micorrize

Questa classificazione seppur semplicistica ci permette di avere le informazioni di massima ed una visione generale sulle micorrize.

Tuttavia, va precisato che la realtà è più complessa con una serie di ulteriori categorie e classi intermedie. Un esempio sono le ectoendomicorrize che differenziano entrambe le strutture delle due categorie.

Nello specifico interagiscono con la pianta coprendo la superficie dei peli radicali con un consistente strato di micelio oltre differenziare delle strutture che permettono un’interazione intima a livello cellulare. Queste micorrize sono molto diffuse tra le specie arboree e si rinvengono spesso nei generi Pinus, Picea e Larix.

Un breve approfondimento sulle ectomicorrize

A valle di questa schematizzazione appare chiaro come le micorrize racchiudano un vasto ed eterogeneo gruppo di interazioni alcune delle quali potenzialmente utili per gli agroecosistemi.

Per semplificare la lettura e per una maggiore chiarezza è opportuno trattare l’argomento separando le due classi e approfondendo singolarmente i vari utilizzi agronomici.

Le ectomicorrize si riscontrano in numerose specie arboree appartenenti alle famiglie delle gimnosperme (ad esempio, Pinaceae) e angiosperme (ad esempio, Dipterocarpaceae, Betulaceae) e sono estremamente utili nelle foreste boreali e temperate.

La componente fungina coinvolta nelle associazioni ectomicorriziche rappresenta una consistente parte della biomassa microbica dei suoli forestali (circa il 30%).

Questi funghi sono un insieme molto eterogeneo di specie (circa 6000 specie) appartenenti ai phyla dei basidiomiceti, ascomiceti e zigomiceti.

Vi sono evidenze di tale interazione in reperti fossili che risalgono a 50 milioni di anni fa; tuttavia, è stato stimato che l’associazione simbiotica si sia evoluta 130 milioni di anni fa.

Come già anticipato le ectomicorrize avvolgono la radice creando un rivestimento che tecnicamente è detto mantello ma a sorprendere sono le dimensioni del micelio extra radicale che può avere un’estensione di 200 metri per grammo di terreno.

La maggior parte dei funghi ectomicorrizici formano corpi fruttiferi che si incontrano molto facilmente nei boschi.

Circa l’80% di questi funghi producono queste strutture (carpelli) sulla superficie del suolo (funghi epigei) alcuni dei quali sono commestibili, mentre altri estremamente velenosi.

Alcuni esempi sono i generi Amanita, Boletus, Russula e Cantharellus.

Il restante 20% dei funghi ectomicorrizici sono chiamati ipogei, in quanto producono i carpelli nel terreno.

Questi, avendo perso il geotropismo (capacità di vegetali e funghi di percepire la forza di gravità e organizzare le proprie strutture reagendo a questo stimolo) assumono una forma globosa.

Un esempio sono tutti i funghi dei generi Tuber (tartufi), Alpova e Melanogaster.

Queste interazioni sono vantaggiose per le piante ed in alcuni casi redditizie (tartufaie controllate e coltivate) suscitando un crescente interesse negli anni.

Oggi la micorrizazione artificiale rappresenta una tecnica collaudata e si sta assistendo ad un incremento delle superfici agrarie destinate alla coltivazione del tartufo.

Tuttavia, questa è un’interazione molto sensibile che risente delle condizioni pedoclimatiche e delle variazioni di queste.

La gestione di piante micorizzate necessita di specifiche accortezze e di buone competenze tecniche in tal senso.

La messa a dimora di tartufaie richiede un attento studio preliminare che tenga conto delle caratteristiche chimico fisiche del terreno, del clima, dell’essenza ospite (specie e varietà della pianta) e la specie di Tuber.

Un breve prontuario è trattato nell’articolo “Piante tartufigene e tartufaie coltivate”.


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