I tartufi sono funghi che producono e conservano le proprie spore all’interno di corpi fruttiferi di forma globosa che si sviluppano nel terreno.
Questi funghi vengono chiamati ipogei in quanto, a differenza di altri funghi, svolgono il loro ciclo vitale interamente nel suolo dove interagiscono con l’apparato radicale delle piante.
I tartufi vengono ulteriormente distinti in due categorie, i tartufi falsi (false truffles) appartenenti al phylum dei Basidiomycota e i veri tartufi (true truffles) appartenenti al phylum degli Ascomycota.
I tartufi di maggior interesse economico sono quelli veri che appartengono al genere Tuber e fruttificano in suoli forestali nello strato appena sotto la lettiera di foglie o raramente nello strato minerale.
Questo genere include circa 200 specie di funghi ectomicorrizici che svolgono un importante ruolo ecologico negli ecosistemi forestali come partener di numerose specie vegetali arboree.
Le specie di maggiore rilevanza economica e gastronomica sono il Tuber magnatum o tartufo bianco pregiato, il Tuber albidum o tartufo bianchetto o marzuolo, il Tuber melanosporum o tartufo nero pregiato, il Tuber aestivum o tartufo d’estate o scorzone, il Tuber brumale o tartufo nero d’inverno o trifola nera, il Tuber mesentericum o tartufo nero ordinario ed il Tuber macrosporum o tartufo nero liscio.
Questi tartufi differiscono tra loro per numerosi aspetti, tra cui il periodo di raccolta, le piante simbionti, la forma e il colore della scorza (peridio), il colore e le venature della parte interna (gleba) e le caratteristiche organolettiche. Nonostante queste differenze vi sono numerosi aspetti che accomunano le specie del genere Tuber ed in questo articolo tratteremo brevemente il ciclo vitale di questi funghi e le caratteristiche che contraddistinguono degli ecosistemi tartufigeni.
Indice dei contenuti
Il ciclo vitale dei tartufi, la riproduzione sessuata è importante per la produzione.
Gli ecosistemi di diffusione di questo genere fungino sono molto eterogenei, all’interno dei quali si instaurano interazioni trofiche con popolazioni (una sola specie prevalente) o comunità vegetali (più specie vegetali che condividono lo stesso ambiente).
L’eterogeneità di essenze vegetali (comunità) rappresenta un importante fattore che favorisce lo sviluppo di queste specie fungine e la conservazione delle tartufaie, mentre ecosistemi tartufigeni con una bassa biodiversità vegetale sono molto più fragili e soggetti all’effetto negativo di condizioni ambientali non ottimali.
Come già descritto nell’articolo “Classificazione delle principali micorrize di interesse agrario” i tartufi, al pari di altri funghi micorrizici, compiono il loro ciclo vitale in simbiosi con alberi e arbusti scambiandosi reciprocamente sostanze per mezzo delle micorrize.
Prima di interagire intimamente con la pianta i funghi micorrizici attraversano una serie articolata di fasi che caratterizzano il ciclo vitale di questi microrganismi. Il primo aspetto da chiarire del ciclo vitale dei funghi del genere Tuber riguarda il loro sistema riproduttivo.
Per molto tempo si è pensato che questi funghi si riproducessero per via asessuata; quindi, che per produrre il carpoforo (la parte edibile) bastasse un solo individuo.
Questo avrebbe determinato nel lungo periodo un’omogeneità nella popolazione fungina. Tuttavia, l’analisi genomica (del DNA) ha messo in evidenza un livello di eterogeneità all’interno delle popolazioni che è caratteristico degli organismi con riproduzione sessuale.
Per tale caratteristica i funghi appartenenti al genere Tuber sono definiti eterotallici in quanto la riproduzione passa attraverso la ricombinazione genetica tra due individui di sesso opposto (mating type).
Per tale ragione affinché una tartufaia produca tartufo è necessario che nel terreno entrino in contatto le ife appratenti a due ceppi fungini appartenenti alla stessa specie ma di mating type opposto.
Questo aspetto è chiaramente cruciale e da tener conto quando si impiantano piante tartufigene in quanto la produzione del tartufo è la diretta conseguenza della riproduzione dei funghi ectomicorrizici. Detto ciò, non è strettamente necessario che le piante messe a dimora siano colonizzate da ceppi fungini di “sesso” opposto poiché spesso funghi del genere Tuber popolano il terreno costituendo parte del microbiota.
L’incontro di due ife con mating type opposto innesca la produzione del carpoforo che è costituito da un involucro esterno (peridio) che racchiude una parte carnosa (gleba) in cui alloggiano dei sacchi (aschi) che contengono le spore (ascospore) ossia gli organi di diffusione di queste specie fungine. Una volta raggiunta la maturazione i tartufi subiscono nel terreno un processo di deterioramento che porta alla liberazione delle spore e alla loro successiva germinazione.
La disseminazione delle spore nell’ambiente avviene per mezzo di insetti e mammiferi che attratti dal profumo emesso si nutrono dei tartufi e questo favorisce lo spargimento delle ascospore.
Dalla germinazione delle ascospore vengono prodotte ife e successivamente una rete di micelio che colonizza il terreno.
La fase del ciclo vitale che precede l’interazione con le piante viene definito stadio vegetativo ed è rappresentato da micelio a vita libera derivante dalle spore che si sviluppa da saprofita utilizzando la materia organica presente nel terreno.
Il micelio in questa fase saprofitaria ha una sopravvivenza molto limitata e destinata a dare origine ad associazioni simbiotiche mutualistiche a contatto con le radici di una vasta gamma di piante ospiti.
Le ife fungine percependo dei segnali emessi dalle piante mediante gli essudati radicali cambiano morfologia ed avvolgono i peli radicali producendo l’ectomicorriza che mette in connessione i due organismi.
La fase del ciclo vitale in cui il fungo è connesso con la pianta è detta stadio simbiotico.


Gli alleati delle tartufaie: le piante comari
L’interazione pianta-fungo non è ristretta alle sole specie vegetali micorriziche (ospite primario) ma è molto più complessa.
Infatti, nelle aree a vocazione tartufigena, per ciascuna tipologia di tartufo, vengono costantemente riscontrate alcune specie vegetali definite tecnicamente comari.
Ad esempio, negli ecosistemi ove viene prodotto lo scorzone, oltre alle piante tartufigene, si rileva la presenza di ginestre, rose canine, ginepro, ciliegio selvatico o prugnolo.
Ad oggi il ruolo delle piante comari negli ecosistemi tartufigeni non è del tutto chiaro, però la loro presenza sembra incrementare l’efficacia di micorrizazione e permette che tale interazione sia più stabile nel tempo.
Inoltre, alcune specie vegetali che caratterizzano gli ecosistemi tartufigeni rappresentano un ospite secondario dei funghi del genere Tuber e questo sembra possa influire positivamente sulla pezzatura dei corpi fruttiferi.
Il pianello un chiaro segnale della presenza del tartufo
Un’altra peculiare manifestazione che si osserva frequentemente nelle tartufaie è detta pianello o brûlé e consiste in un’area con scarsa vegetazione erbacea annuale o poliennale nelle vicinanze di piante colonizzate da alcune specie di tartufo. Questo fenomeno si determina per la produzione di molecole con effetto fitotossico da parte di alcune specie di tartufo, tra cui Tuber melanosporum, Tuber aestivum e Tuber indicum.
Il pianello si osserva attorno ad una serie di piante legnose, tra cui quercia (Quercus spp.), nocciolo (Corylus spp.), pioppo (Populus spp.) e faggio (Fagus spp.).
Sebbene siano una chiara indicazione della presenza e attività di micelio fungino il manifestarsi del pianello non garantisce la produzione della tartufaia.
Il ruolo ecologico del pianello non è del tutto chiaro ma si ipotizza che la produzione di queste sostanze rappresenti un vantaggio competitivo per il tartufo e di conseguenza per la pianta micorrizata rispetto alle specie vegetali che popolano le zone in cui risiede il micelio extra radicale.
Microrganismi nemici e alleati delle tartufaie
La micorrizazione e lo sviluppo del micelio extra radicale sono dei fenomeni molto complessi che si svolgono in un ecosistema ricco di altri microrganismi che possono condizionare l’evoluzione di questa simbiosi.
Infatti, alcuni funghi ectomicorrizici possono competere con quelli del genere Tuber riducendo l’efficacia di micorrizazione e la diffusione di queste specie nell’ecosistema, al contrario, dei batteri possono incrementare l’efficacia di micorrizazione.
I batteri che agevolano l’instaurarsi della micorriza vengono tecnicamente definiti Mycorrhiza Helper Bacteriae sono generalmente azotofissatori liberi, ossia microbi capaci di trasformare l’azoto atmosferico in azoto organico senza interagire con piante ospiti.

Caratteristiche di un suolo vocato per l’impianto di una tartufaia
Dal momento che l’intero ciclo vitale del tartufo si compie nel terreno le caratteristiche chimiche e fisiche di questo condizionano fortemente la diffusione e la produzione di tartufaie naturali e coltivate. Tra le variabili che condizionano la vocazione tartufigena di un terreno l’areazione e la capacità di immagazzinare acqua giocano sicuramente un ruolo di primaria importanza.
Ricerche scientifiche hanno messo in evidenza come la presenza di micorrize incrementa i livelli di respirazione delle radici, aumentando quindi la necessità di ossigeno nel suolo.
Per i tartufi con ciclo primaverile estivo è altrettanto importante la disponibilità di acqua ed in particolare durante la produzione dei corpi fruttiferi.
Nei suoli questi due aspetti hanno un andamento contrapposto in quanto terreni molto areati generalmente non riescono a formare una consistente riserva d’acqua. I terreni che meglio possono assecondare le esigenze di questa delicata interazione sono quelli a medio impasto oppure suoli argillosi con una buona dotazione in sostanza organica.
Il bilancio tra aria e acqua nel suolo condiziona anche la sua temperatura e l’evoluzione di questa durante l’anno.
Terreni con una consistente riserva acqua tendenzialmente si riscaldano più lentamente e questo può determinare effetti sulla produzione in termini quantitativi ma soprattutto può rallentare il ciclo biologico del tartufo con produzioni più tardive.
Per la pianta instaurare una simbiosi mutualistica con un fungo rappresenta un costo energetico non trascurabile che è giustificato da un vantaggio concreto per entrambi gli organismi.
Come già decritto nell’articolo “Le micorrize: un potenziale alleato per orti e frutteti” la micorrizazione aumenta la capacità assorbente di numerosi nutrienti ed in particolare incrementa la disponibilità di fosforo.
In un contesto ottimale dal punto di vista nutrizionale la pianta ha una tendenza più bassa alla micorrizazione rispetto a terreni carenti in macro e micronutrienti.
Per tali ragioni i terreni tartufigeni sono generalmente calcarei con una buona presenza in calcio (carbonanti di calcio) e di conseguenza la loro reazione è alcalina (pH compreso tra 7,5 e 8,5). La presenza di calcio ed un pH sub alcalino favoriscono l’immobilizzazione del fosforo sotto forma di fosfati di calcio riducendone fortemente la disponibilità.
Le ife fungine sono capaci di abbassare il pH mediante la produzione di acidi organici e mobilizzare il fosforo rendendolo più assimilabile.
Con questo articolo abbiamo descritto per grandi linee il ciclo vitale dei tartufi e le caratteristiche degli ecosistemi tartufigeni, queste informazioni sono essenziali per approcciarsi all’impianto e alla gestione di tartufaie coltivate oppure, alla gestione di tartufaie naturali controllate.